Fiori, frutti, piccoli orti e aree rappresentative degli ambienti agresti e delle coltivazioni locali completano la panoramica del giardino con la descrizione di paesaggi agricoli ed ecosistemi più antropizzati.
Le rose sono raggruppate in due modi: secondo il PORTAMENTO (per esempio, rose arbustive, rampicanti, tappezzanti) e secondo l’ASCENDENZA (tea, ibridi di tea, ibridi di rubiginosa).
Questi gruppi non sono sempre ben definiti e spesso si sovrappongono, tuttavia hanno una valenza pratica. Una suddivisione utile seppur arbitraria, è quella tra le rose ANTICHE e le MODERNE.
Le Rose Antiche sono quelle introdotte prima del 1867, del 1900 o del 1945 a seconda delle teorie; sono definite vecchie rose da giardino, rose vecchio stile, rose antiche, rose tradizionali e rose storiche. Molte tra cui le Alba, le Boursault, le Centifolie, le Damascene, le Galliche e le Muschiate, fioriscono una volta sola.
Le Bourbon, le Cinesi, gli Iridi perenni, le Noisette, le Portland e le Tea sono rifiorenti. Le antenate delle rose da giardino sono quelle SELVATICHE, da cui discendono tutte le varietà coltivate; sono quelle che crescono spontanee in natura come ad esempio Rosa Canina. Le prime Rose Moderne sono gli ibridi di Tea, che derivano da incroci tra gli ibridi perenni, rustici e vigorosi, e le delicate rose tea, rifiorenti e perenni.
Le prime ibridazioni avvennero spontaneamente, grazie all’impollinazione dovuta alle api o al vento; un esempio è “La France”, che a detta di alcuni è la prima rosa moderna. Le nuove rose del XXI secolo, nel momento in cui appaiono, sono sempre considerate un passo avanti rispetto alle precedenti, e molti ritengono che la storia delle rose negli ultimi due secoli sia stata un costante progresso verso al perfezione, con l’obbiettivo di selezionare rose resistenti al mal bianco, alla ticchiolatura e alle malattie funginee.
Il più grande riconoscimento , tuttavia sarà riservato senza dubbio a colui che ibriderà la prima rosa realmente blu, risultato che probabilmente deriverà da manipolazioni genetiche piuttosto che da mutazioni spontanee.
Il fenomeno dell’Enrosadira ha un’origine scientifica: la presenza di carbonato di calcio e di magnesio nella Dolomia fa si che al tramonto le montagne si accendano di un colore rosso intenso. Le pareti rocciose sviluppano uno spettro cromatico che va dal giallo chiaro al rosso fuoco, per poi attenuarsi in vari livelli di viola, fino a scomparire del tutto nel buio della notte.
La leggenda
Re Laurino era un mitologico re delle popolazioni ladine delle Dolomiti: si tramanda che fosse il monarca di un popolo di nani, che estraevano oro e metalli preziosi dalle profondità del massiccio del Catinaccio, in Trentino. Proprio sul gruppo montuoso del Catinaccio, ancora oggi, è ben visibile una conca innevata fino a tarda primavera. In quella conca era un tempo adagiato il giardino delle rose di questo Re (non a caso, in
tedesco, il Catinaccio è chiamato Rosengarten), un vero e proprio vanto per Laurino, che lo curava con amore e dedizione. Re Laurino possedeva altresì due oggetti magici: una cintura che gli dava la forza di 12 uomini e un mantello che lo rendeva invisibile. Un giorno il Re dell’Adige decise di maritare la propria bellissima figlia, Similde, invitando per un torneo tutti i nobili delle montagne e delle valli limitrofe. Tutti ad eccezione di Laurino. Indispettito, il sovrano furtivamente partecipò all’incontro, sfruttando l’invisibilità ottenuta grazie al proprio mantello: non appena vide Similde, si innamorò di lei e decise di rapirla. Caricatala sul suo cavallo, scappò verso il Catinaccio per nascondersi, ma all’ingresso del giardino di rose
trovò il Re dell’Adige e gli altri nobili: infilatosi la cintura magica, Laurino iniziò a combattere. Ben presto capì che, nonostante la forza datagli dalla cintura, i nemici avrebbero presto avuto la meglio su di lui. Decise così di indossare il mantello dell’invisibilità e scappò tra le rose del suo giardino. Questa mossa si rivelò, contrariamente a quanto pensava, fatale: le rose, calpestate dai suoi stivali, ne rivelarono in breve tempo i movimenti. I cavalieri lo catturarono così senza difficoltà, distrussero la cintura magica e lo imprigionarono. Furibondo, prima di essere portato via, Re Laurino si voltò di scatto verso il giardino di rose che tanto aveva amato e che lo aveva tradito. Lo maledisse, giurando che nessun uomo avrebbe mai più potuto ammirarne la bellezza, né di giorno né di notte. In preda all’ira, il Re si dimenticò però di includere nella maledizione i due momenti dell’alba e del tramonto.
Ampio spazio è dato in giardino alle piante con proprietà medicamentose e curative (erbe officinali) e a quelle commestibili, che vengono utilizzate come risorsa alimentare (alimurgiche).
Per molti questa parola è sconosciuta, perché molti vocabolari la escludono. L’etimo di alimurgia deriva dalla contrazione del latino “alimenta urgentia”, cioè nutrimento in caso di necessità, a cui è stato aggiunto il prefisso fito per indicare che si tratta di piante.
La prima comparsa ufficiale della parola fu nel 1767 quando venne pubblicato un libro con le notizie riguardanti ciò che veniva usato dalla popolazione per sfamarsi durante le carestie, le pestilenze, le guerre, le calamità naturali; eventi che impedivano la consueta coltivazione dei campi con relativo raccolto. Al giorno d’oggi è ovviamente anacronistico ricorrere al recupero delle piante autoctone per motivi di sopravvivenza, resta però la necessità di rintracciare vegetali sani con profili terapeutici preventivi.
La raccolta delle piante spontanee si sposta, così, verso il bisogno del mantenimento della salute. Con la raccolta delle piante spontanee si elimina il rischio della presenza di sostanze venefiche causate dai prodotti utilizzati in agricoltura intensiva; ovviamente resta il problema dell’inquinamento che in generale incombe su tutto il pianeta; sarà cura del raccoglitore utilizzare solo piante presenti in ambienti con il minor tasso di inquinamento, quindi sicuramente molto distanti dai centri urbani.